Articoli | 03/07/2021 13:07 | Ufficio Stampa
Il Furlo è talmente bello da sembrare sacro, un paradiso che l’uomo può solo onorare e difendere dagli altri esseri umani. Siamo nelle Marche Alte, tra Umbria, Toscana e Romagna, entroterra di Pesaro-Fano; partendo dal mare sab bioso dell’Adriatico, si attraversa la Valle del Metauro e dopo pochi chilometri, percorrendo l’antica Flaminia, ecco il maestoso sipario “strappato” dei due monti Paganuccio e Pietralata, in mezzo a loro, la Gola del Furlo, un canyon di travolgente bellezza. Sembra un te- atro alpino con una vertigine di massi e rocce a picco sul fiume smeraldo, il Candigliano, un paesaggio all’apparenza più dolomitico che pre-appenninico. Eppure la catena umbra-marchigiana dell’Appennino è a poca distanza. Paura e incanto, questi sono i regali della Gola che abbraccia in un cerchio Villa Furlo, Sant’Anna del Furlo e Pas- so del Furlo: qui senti l’immensità del tempo, quando sai che il fiume da lassù ha lavorato e segato la pietra per milioni di anni, quando sai che tutto era sommerso e su in cima al monte c’era il mar Tirreno che con la sua risacca ha colorato la pietra.
La Gola ciclopica del Furlo narra anche il nostro passato: questo non è solo un magnifico “riassunto” stratificato per geologi, un eden per naturalisti, un cam- po-catalogo per botanici, ma è anche un densissimo libro di storia squaderna- to davanti agli occhi. E’ un film che ti passa davanti, un binario che corre nel tempo, con queste due Vie che corrono
verso il mare: la consolare Flaminia e il fiume Candigliano, poi affluente del Metauro. E vedi passare la Storia: ecco gli Italici, gli Umbri, gli Etruschi che cercano una via d’uscita verso il mare, l’assedio dei Galli, le conquiste e le poderose costruzioni dei Romani e poi i Goti, i Bizantini, i Longobardi, e ancora i Franchi, gli Austriaci, i Francesi, e il lungo regno dello Stato Pontificio fino all’Unità d’Italia, le due Guerre.. tutto passa qui davanti. Il fiume scorre, il Furlo osserva. È rimasta qualche trac- cia dei passaggi: passa Federico Barba- rossa, passa l’Imperatore Sigismondo, passa Lucrezia Borgia con il suo fastoso corteo nuziale, passa il Papa Giulio II con il corteo vociante di cardinali e di prelati… arriva Umberto di Savoia a inaugurare la Diga del Furlo, passa e spassa Mussolini, dicono, più di 50 volte con il suo seguito nerovestito. E poi i Tedeschi, con l’occupazione e la ritirata vigliacca, e infine, sfilano i Partigiani sulla Flaminia il 26 agosto del 1944, con le truppe di Liberazione. Per il Furlo e per l’Italia comincia uno dei periodi più esaltanti della sua storia: la Ricostruzione. Il momento d’oro per questi luoghi, ma forse dovremmo dire del Paese, si estese lungo tutto un trentennio, dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, poi il continuo declino, la crisi perpetua, lo spopolamento dell’entroterra.
Una volta c’era il lavoro duro con la pietra rosa, le cave e gli scalpellini, il festoso turismo di passaggio, il commercio, ma soprattutto per molti anni è andata avanti l’agricoltura e l’allevamento, quando sul Paganuccio e sul Pietralata, i Lari del Furlo, c’erano i pascoli. La biodiversità non era una facile formula per i “fissati” del biologico, ma era un patrimonio naturale, una ricchezza che tutti avevano a portata di mano: l’orto, un maiale, delle oche, i conigli, i colombacc… tutta materia prima che ora possiamo solo sognare.
Ma tornando al Luogo, al Paesaggio corrusco e selvaggio del Furlo, non possiamo tralasciare due “protagonisti”: la Galleria Romana e la Diga.
Il Passo del Furlo ha rappresentato una delle principali sfide dell’ingegneria ro- mana lungo il tracciato della via Flaminia. La strada consolare, che per la prima volta unisce il Tirreno all’Adriatico, si snoda attraverso i valichi dell’Appennino e lungo le principali valli. Uno dei punti più difficili da superare, fu proprio il Passo del Furlo dove vennero posizionati imponenti sostruzioni, ponti e anche una galleria scavata nella dura e compatta roccia del Calcare Massiccio. La strada prende il nome da Gaio Flaminio, che nella sua azione politica aveva riservato una particolare attenzione alle terre dell’ager Gallicus; attorno 220 a.C. promosse la costruzione di una via che unisse Roma ad Ariminum (Ri-mini), come riportato nella Tavola Peutingeriana.
La Flaminia fu poi migliorata da C. Sempronio (177 a.C.), da Augusto (27 a.C.) e da Vespasiano (76-77 d.C.) con opere di rettifica, bonifica, consolidamento, costruzione di ponti, ecc. Il percorso si snodava da sud-ovest a nord-est su un territorio che in più punti mise alla prova gli ingegneri romani.
In particolare, risultò molto complesso unire la parte che seguiva la Val Tiberina con la valle del Burano, dovendo su- perare l’insidioso valico della Scheggia e poi, lungo la valle del Candigliano, l’ostacolo costituito dalla stretta e impervia Gola del Furlo.
La gola si presenta ancor oggi come un restringimento, una difficoltà morfologica, risolta con la costruzione di gallerie. Il Furlo oggi possiede quattro gallerie, ognuna delle quali rappresenta una tappa fondamentale nella storia del
lavoro e della viabilità italiana.
La prima galleria, non facilmente attribuibile come datazione, si pensa aperta trecento anni prima di Gaio Flaminio, misurava 8 metri in lunghezza, 3,30 in larghezza e 4,40 in altezza. Successivamente, l’imperatore Vespasiano, memore delle difficoltà incontrate dal suo esercito nell’attraversare il Furlo, decise di rendere più agevole il passaggio facendo scavare un’altra galleria, accanto a quella piccola, (che si chiamò prima Petra pertusa, poi Forulus, infine
Furlo). I lavori per la sua costruzione durarono diversi anni con un grande impegno di uomini, (e fuoco, aceto, scalpelli, tutto realizzato con la sola forza fisica) ma al termine, la galleria aveva delle dimensioni di tutto rispetto: metri 38,30 di lunghezza, 5,40 di larghezza e 4,80 di altezza.
Tra gli anni Ottanta e Novanta l’ANAS mise in opera un progetto di adeguamento della Flaminia con due gallerie unidirezionali parallele. La prima del 1985, la seconda del 1991, permettono ai viaggiatori di superare l’ostacolo in pochi minuti, anche se negano lo spettacolare panorama costituito dalle pareti di roccia a strapiombo che si tuffano nelle acque verdi-azzurre del bacino del Candigliano, contenuto dalla diga. Ma come si sa, il repertorio delle soluzioni adottate dagli architetti romani per far fronte a situazioni ambientali ostili furono diverse e molto articolate.
Per creare un’idonea sede stradale fra le pareti verticali della gola si intervenne sia utilizzando imponenti sostruzioni sia con tagli nella roccia. A partire dalla cosiddetta “Grotta del Grano”, la strada poggia ancor oggi per lunghi tratti, sopra poderosi muri di sostruzione, solo in parte sommersi dall’acqua del lago artificiale. Si tratta di strutture in “opera quadrata”, alte in media 8-10 metri, che sorreggono la sede stradale per oltre mezzo chilometro Nel punto più impervio della gola, per superare lo sperone roccioso che chiudeva il passaggio, erano necessari imponenti muri di terrazzamento, alti almeno 30 metri, che non avrebbero comunque risolto completamente il problema, essendo soggetti all’azione erosiva del fiume che innescava continui fenomeni franosi. La soluzione definitiva, venne però solo con Vespasiano che promosse lo scavo della seconda galleria, ancor oggi per- corribile. Un’iscrizione, visibile sopra l’ingresso orientale, ricorda nei secoli l’opera di Vespasiano.
Superata la Gola, i problemi non cessarono. Fu infatti necessario tagliare per un lungo tratto verticalmente la parete rocciosa e creare in tal modo una solida sede alla via Flaminia ormai diretta, senza più ostacoli, che corre verso la più agevole ed ampia valle del Metauro, verso il mare Adriatico.
Da un punto di vista architettonico, oltre alla consolare Flaminia, a rende- re indimenticabile la Gola è la famosa diga del Furlo realizzata in calcestruzzo nel 1920 ma poi inaugurata nel 1922. La diga stessa, per la sua imponente bel- lezza, può essere considerata un’opera di Land Art, (molto prima quindi del “profilo del Duce” che ancora si scorge sul Pietralata e che alcuni hanno voluto definire come opera di arte ambientale). Lo sbarramento del fiume Candiglia- no è stato l’intervento antropico che maggiormente ha modificato la Gola e tutto il paesaggio intorno, molto più di tutti gli interventi eseguiti per la co- struzione della strada. In passato, per migliaia o meglio, milioni di anni, lo scenario naturale era profondamente diverso ed estremamente stabile. Fino allo sbarramento della diga, il fiume aveva un percorso impetuoso, scorreva lungo un alveo stretto, confinato dalle pareti rocciose, e nel punto in cui oggi è posizionata la diga, c’era una cascata
dell’altezza di circa 10 metri, che anco- ra qualche anno fa, alcuni anziani ricor- davano quasi con nostalgia.
La parte alta della Gola invece aveva un alveo più largo, con scarsi depositi allu- vionali, (cioè sedimenti di fango, ghiaia, ecc..) ma che in seguito alla costruzione della diga ed alla creazione del bacino, che qui tutti chiamano “Lago”, ha pro- dotto dei cambiamenti geomorfologici notevoli, come un sovralluvionamento della valle che si estende per circa tre chilometri verso Acqualagna.
Tornando alla diga, (l’Italia vanta un primato europeo per la quantità di dighe quasi tutte realizzate nella prima metà del Novecento), fu costruita tra il 1919 e il 1920 dall’UNES, una società priva- ta, per produrre energia idroelettrica, fu poi acquisita, con la nazionalizzazione dell’ENEL nel 1962. All’epoca, alimen- tava una centrale idroelettrica collocata a valle della diga, ai piedi del Monte Pa- ganuccio, oggi non più visibile perché è stata spostata a Calmazzo.
La diga, costruita su roccia viva per un’altezza di 52 metri, è della tipologia chiamata ad arco-gravità, come altre sulle Dolomiti. Ha la forma di un arco concavo che distribuisce la maggior parte del carico d’acqua verso le pareti laterali formate dal Calcare Massiccio, (una roccia carbonatica non stratificata e non fratturata e quindi molto resisten- te e non soggetta a frane o crolli). Come tutte le dighe a gravità ha uno spessore notevole: alla base è larga ben 16 me- tri mentre la corona sommitale, (dove è possibile accedere chiedendo il permes- so al personale di sorveglianza), ha una larghezza di 3 metri. Lo sbarramento,
come si diceva, ha prodotto un aumento del livello del fiume Candigliano per una lunghezza di circa 3 km e la creazione del lago artificiale, ha cambiato completamente la morfologia della valle creando un microclima che a sua volta ha favorito anche una fitta vegeta- zione prima quasi assente.
Per rendersene conto, basta guardare le immagini della zona a cavallo tra Ottocento e Novecento ed osservare le grandi mutazioni del paesaggio. Qui pubblichiamo alcune foto (grazie all’ar- chivista Giovanni Salvietti dell’Enel di Napoli) che illustrano alcuni momenti della costruzione dell’invaso, possono dare solo una vaga idea del colossale impegno fisico, quasi titanico, di questo intervento. Ancora qualche anno fa, al Furlo se ne parlava come un lavoro che aveva modificato per sempre la vita de- gli addetti alla costruzione.
Oltre alla diga e alla centrale, gli operai si occuparono anche di realizzare due abitazioni, una più piccola per l’Ingegnere e la sua famiglia, e una grande casa per gli operai “elettrici”, ci abitarono sei famiglie, di generazione in generazione dal 1919 fino ai primi degli anni Novanta.
La curiosità architettonica più ragguardevole era ed è composta da sette piccole torri colombaie, sorta di “dispensa”, con polli e piccioni. Un edilizia civile che sorse nel vasto pianoro ai piedi del Monte Paganuccio, in località Sant’Anna del Furlo, tutt’oggi intatto come cento anni fa. Un vero e proprio Villaggio operaio, autonomo, forse il primo della Regione Marche, che sarà il protagonista del prossimo capitolo.
Articoli | 03/07/2021 13:07 | Ufficio Stampa
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